24/07/13

Il buco #4 (paragrafi 10, 11 e 12)



10.

Mi sembra di non dormire da anni.

La corsa in moto non mi aiuta a schiarire i pensieri, e quell’immagine, che ormai accompagna ogni singolo istante della mia vita, corre più veloce dei 220 cavalli che rombano sotto al mio culo.

La porta a vetri della centrale mi restituisce la faccia di uno sconosciuto.

I vicoli del Ghetto Ebraico. Di notte sono bui e angusti.
Un brutto ceffo, dalla barba sfatta da troppi giorni per essere volutamente trascurata, capelli che reclamano urgentemente un pettine, camicia stazzonata sotto al giubbotto di pelle. Da mollargli il portafogli senza che te lo chieda, se lo incontri di notte nei vicoli bui del vecchio ghetto ebraico.

L’ufficio è pigramente immerso nella solita penombra fumosa.

Fumosa, certo. La legge è uguale per tutti tranne che per noi sbirri e il divieto di fumare negli uffici pubblici vale ovunque tranne qua.

Se sei così stronzo da finire in gabbia qua dentro puoi anche morire per fumo passivo, ma se hai appena sbattuto in cella una puttana rumena che ha infilzato il fermacapelli nell’occhio destro del protettore insoddisfatto dei suoi introiti, non esiste legge al mondo che possa privarti di una sigaretta. Ed anche di un bicchiere di qualcosa di forte. Molto forte.

Fabbri è riapparso. Mi saluta. Con imbarazzo. Sa che l’ho visto quasi piangere. Lui, la roccia, lui che ci ha cresciuti tutti e ha salvato le chiappe di metà di noi. Stava per frignare come un infante.

E’ qualcosa che cambia i rapporti fra colleghi, questa.

Per darmi un contegno vado a frugare fra i verbali della notte precedente.

Due furti con scasso.

Una rissa fra ubriachi.

E questa? Questa è carina.

Un tizio è stato denunciato da Andreina, un vecchio trans che batte in fiera e che ho fermato ormai un miliardo di volte. A quanto pare, sto pirla aveva portato Andreina a casa, dove ad attenderli c’era una recalcitrante consorte da convincere di quanto possa essere piacevole prenderlo in culo. Me l’immagino, con il tono da checca isterica, gridare che lei non è mica un’esibizionista, e se questi etero schifosi hanno bisogno di emozioni forti, per godersi la vita, che trovino qualcun altro per simili porcate (o almeno alzino di molto la parcella)Riesce persino a strapparmi un sorriso sghembo, il primo dopo non ricordo più quanto.

Ecco. Ci siamo. A rapporto davanti all’Ispettore capo. Non ride, non sorride neanche. Nessuna traccia di scherno, e neanche biasimo.

Sto rigido ed impettito, in attesa di sapere se mi ritira il distintivo per malattia mentale o se mi sbatte direttamente nella gabbia di sotto per stupro.

Sono un uomo fortunato, di due, nessuna delle due ha fatto la stronza, congiuntura astrale più unica che rara.

Riprendo a respirare nel momento in cui lui mi rivela cosa vuole da me. Un marito sta prendendo a calci la porta di casa dove la moglie si è rinchiusa dopo averlo sbattuto fuori. Devo andare a fermarlo. E possibilmente riportare la pace coniugale. E condominiale, soprattutto.

Cazzo, lo sapevo. La strizzacervelli. Sei proprio un uomo senza palle, Capo. Al tuo posto io la terrei così impegnata, quella bella bocca che si ritrova, che col cavolo che ti racconta che uno dei tuoi più promettenti sottoposti è fuori di melone.

E adesso solo liti domestiche mi affibbi.

Che ci vada una pattuglia, a sedare i bollenti spiriti dei due vecchi, tento di contrattare. Secco diniego del testone pelato del Capo.

Dicono che gli uomini perdano i capelli per il troppo testosterone, ma tu mi sa che sei impotente, se la tua ragazza (troia)  ha tempo di raccontarti di me, quando siete assieme.

E Fabbri? Non potrebbe andarci Fabbri? Tanto con le sue ultime performance potrebbe essere la nostra punta di diamante per le emergenze familiari. Va ad insegnare al marito di turno come far così tanta pena da convincere la moglie a riaprire la porta, e se proprio non funziona potrebbe piagnucolare insieme a lui. Fabbri, la roccia, maestro di vita.

Mi rendo conto che pronuncio ogni tentativo di scavarmi di dosso questo incarico con voce sempre più alta e sento le mani tremare, le serro a pugno per fermarle ma il gesto non sfugge affatto al Capo, che mi chiede se vada tutto bene. Gli urlo in faccia che sto bene. Va tutto bene. E’ solo che ho qualche problema a dormire, ultimamente.

Tutto sommato sono riuscito a liberarmi da quell’infamata dei due vecchi litigiosi, visto che decide di concedermi una settimana di ferie non richiesta.

Bene. Forse tutto sommato non è una brutta idea. Mi riposo, mi riprendo, mi prendo cura di me, un bel giro in moto, chissà, potrei andare in Umbria, magari. Adesso però mi limito a salire sui colli e godermi questa inaspettata libertà. C’è il sole, ed in autunno si tingono di ogni tonalità dal giallo al rosso. Rosso. Come quel buco che sembra un fiore. Di carne. Con spine bianche che ne trapassano il centro. E che nei miei sogni (incubi) diventa nero. Un buco nero. Una voragine. Che si affaccia sulla mancanza di tutto.
I Calanchi dei colli bolognesi. In autunno sono grigi
e spogli, e strisciano verso valle come dita scheletriche



Alberi spogli mi corrono incontro, per poi superarmi e sparirmi alle spalle, mentre la strada stretta segue il profilo dei calanchi, che, a guardarli ora con il sole basso dietro S. Luca, sembrano trasportati qua dalla Luna. Grigi, nel rosso di questo tramonto autunnale. Sgraziate e scoscese argille, plasmate da ere di pioggia, che strisciano sul fianco del colle fino a valle come dita scheletriche (o costole spezzate).




11.

Chiudo la città fuori dalla porta e fisso il catenaccio. Non riuscirà ad entrare.

Controllo il cucinotto. Nessuno.

La camera da letto. Nessuno.

Il bagno. Nessuno.

Cazzo, la tenda della doccia si muove.

Un balzo felino e la strappo via dal tubolare che la sorregge. Nessuno.

Stai andando a pezzi, te ne rendi conto?

La televisione mi fa compagnia. La lampada è ancora a terra, rotta. Il soggiorno è vuoto, come tutta la casa. Apro una birra, incollo le labbra al collo della bottiglia. Un formicolio alla nuca, qualcuno mi sta fissando. Mi giro di scatto. Nessuno? Eppure mi pare che qualcosa si sia mosso, ma non c’è nessuno. Scaglio la bottiglia ormai vuota contro la parete. Vetri infranti tintinnano fin sul pavimento. Quello del piano di sotto batte con la scopa sul soffitto, per intimarmi di non far casino.

Si fotta.


12.

Goccia dopo goccia ogni colore del mondo scivola dentro al buco. Rosso. Che lentamente, con tutti i colori che si mescolano al suo interno, si tinge di nero. Nero. Un buco nero. Aperto sul nulla. E sul fondo del buco l’orrore.

Ecco dove ti nascondevi, piccolo bastardo.

Contorto, distorto, caricatura di un minuscolo uomo. Mani artritiche ornate da unghie ritorte graffiano la parete di quel nulla nero. Testa troppo larga per spalle rachitiche. Un piccolo, osceno mostro. Che vive sul fondo di quel buco. Nero. Sia il mostro che il buco.

Che stupido. Con tutte le sue lauree pensava di catturarti con trappole per topo?


Non esiste una trappola che possa catturarti, ma io so come fermarti. Ora lo so. 


Segue -->>



9 commenti:

  1. Andato in pezzi.
    Ma, in fondo, ero solo un vuoto a perdere.

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    1. Siamo tutti vuoti a perdere.

      E c'è sempre qualcosa pronto a riempire quel vuoto.

      Come un paguro che si appropria di conchiglie abbandonate per farne la propria casa.

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    2. Una tenia, un cancro, un'illusione. Una malattia chiamata amore. Una paura: un sottile piacere.

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    3. E perché non l'odio? Unico, imperituro sentimento?

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    4. L'odio, infatti, non è un vuoto a perdere.

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  2. .... visto che non sono nuovo a questa lettura.....
    Belle foto... e belle didscalie :)

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    1. Ahahahaha :P

      La foto del Ghetto Ebraico confesso che l'ho rubata da internet. Troppo caldo per andare in centro a fare una foto, ora. Ieri abbiamo sfiorato i 39° con un tasso di umidità tale che i pesci saltavano fuori dagli acquari -.-

      Quella dei calanchi è mia. Peccato non sia autunno, perché in questa stagione perdono l'aspetto spettrale, grazie ad un minimo di vegetazione che, ostinata, tenta di crescervi sopra.

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