31/05/13

Se fossi un uomo

Se fossi un uomo



Se fossi un uomo ti vorrei, femmina, senza pudore. 

Ti guarderei nuda innanzi a me, mia amante, complice e schiava

Osserverei ogni piega del tuo corpo,

poi ti metterei in ginocchio

a quattro zampe

 per guardare le tue natiche aperte

osservando il tuo sesso

pulsante di desiderio

grondante di desiderio.


Entrerei in te, lentamente,

e guarderei il mio uccello svanire all'interno del tuo corpo

centimetro dopo centimetro,

brivido dopo brivido,

sospiro dopo sospiro,

e affonderei per riempirti e fartelo sentire

che voglio goderti e sentirti gemere,

puttana.


Non risparmierei apprezzamenti alla tua figa calda

e non ne risparmierei a te, donna

perché sei mia, e anch'io ti appartengo

e quando sono dentro di te sono io a dettare i tempi del tuo piacere

così, sentendolo avvicinarsi uscirei, 

fermando la tua mano che gioca sul tuo sesso

tirando i capelli sulla tua nuca,

sorridendo delle tue rimostranze, 

perché tu sei mia,

ragazza.


Rientrerei solo sentendoti già rassegnata e vinta, 

strappandoti un grido di piacere e di dolore 

perché anche la tua sofferenza mi appartiene, 

bambina. 


E ti riprenderei con forza

guardando il mio cazzo sparire dentro la tua figa:

riempendoti il ventre del mio seme ti direi che sei la mia troia.

Quindi mi abbandonerei su di te, ancora piantato in te

e per cancellare ogni oscenità detta

e ogni volgarità compiuta

tatuerei sul velluto perfetto della tua schiena tre languidi baci. 




31*5*99

La giornata è scivolata via nell'assoluta quiete del tempo sospeso, interrotta solo dal ricordo del passato che ha bussato alla mia porta per un aperitivo, per far tacere le voce dei fantasmi che si sono affacciati uno a uno alla mia mente, per ricordarmi di loro e costringermi a parlarne, e brindare alla loro memoria. 

Ieri ti ho raccontato di alcune di quelle vite, di come io raccogliessi il loro dolore, restando in un angolo, osservando senza realmente unirmi alla sofferenza che li distruggeva, assorbendo le loro emozioni e portandole dentro di me, anche oggi, soprattutto oggi. 

E' il prezzo che mi ero imposta per una vita che ho tolto, perché davanti a te, nella nebbia, c'è anche un'assassina, amico mio, ma questa è un'altra storia e non credo te la racconterò mai, perché non c'è vanto nell'essere causa del suicidio di qualcuno che hai amato, neanche se questo qualcuno si è trasformato in un mostro, neanche se ha provato prima a privare te della tua. 

Tutte queste scintille di vita, splendide nella loro fragilità, è come se vivessero in me, e fra tutte ce n'è una, che si spense la notte fra il 30 ed il 31 maggio di molti anni fa, allo scadere del millennio. 

Fragile, sensibile, ferito, piccola stella malata di malinconia, inguaribile ed incurabile. Poeta maledetto della mia generazione, alla ricerca continua di qualcosa che non sapeva trovare.

Troppo grande per questo mondo, troppo fragile per un businnes che lo ha stritolato, divorandolo come farebbe un bambino con una caramella. 

Non voglio vantare ipocrite amicizie, come qualcuno che ancora oggi grida il suo nome da rinomati palchi, e che quei giorni collaborò alla sua distruzione più d'ogni altro. In realtà ci sfiorammo appena, per poco più di un anno, quando lui era l'uomo di mia sorella, ma questo poco fu sufficiente a raccogliere anche la sua, di confessione, e a mantenere un frammento della sua anima dentro di me. 

Non voglio processare chi, per riavere il suo talento, gli mise fra le mani l'arma che l'uccise e da cui stava disperatamente scappando da diversi anni, con incredibili risultati. 
Io non abito nel super attico, e se lassù c'è un inquilino, cosa di cui dubito fortemente, ci penserà lui a stabilire il prezzo delle azioni compiute da ognuno. 

Io mi limito a ricordare chi, più di ogni altro, conosceva quella dannazione che indegnamente cerco di spiegarti, giorno dopo giorno, e di quella maledizione ne è morto. 








Non c’ eri in compagnia... non eri qui 
noi soli... poi sempre più... dov’eri tu? 
per strada, nelle città e nei metrò 
distorti, già morti, per poi rinascere nelle canzoni 

Io c’ ero con chi non esiste più 
e ha pagato il conto per noi! 
c’ ero e non sai che ritornerò 
che cosa sai di come volerò!? 

Perduti, cambiati ma battuti mai 
dispersi ... diversi da metà di voi 
traditi ... feriti qui ... tu sai da chi 
la voce feroce e noi ancora con la testa tra le mani 

ci sono con chi non ci crede più 
e corre contro il vento che c’ è 
sono con chi non ci casca più 
ma nasconde un segno in fondo a sè ... 

... per strada, nelle città e nei metrò 
chi smette e non vuole più suonare 
non doveva cominciare! 

Io sono con chi non sorride più 
e grida per la rabbia che c’ è! 
sono con chi ha una ferità in più 
che fa tanto male ... tanto male ... tanto male! 


Sono con chi non ci crede più 
e corre contro il vento che c’ è 
sono con chi non ci muore più 
con chi non molla perché ormai sa volare!

Maledetti
Massimo Riva



Devi sapere, amico mio, che gli esseri umani si dividono in due razze. Quelli che hanno un graffio sul cuore, e quelli che fingono di non averlo. Quelli che non ce l'hanno, invece, non sono esseri umani, ma fortunatamente si auto emarginano in luoghi dai nomi altisonanti quali Consigli di Amministrazione, Governo, Compartimenti Dirigenziali. Non rischi di incontrarli per strada, insomma. 

Massimino, io, sicuramente anche tu che sei figlio di una mia fantasia, facciamo parte del primo tipo. Sanguiniamo, anche quando facciamo finta che no, va tutto bene, perché va tutto bene, ma a ogni battito del cuore quel graffio si riapre, e anche se è sottile come il taglio di una lametta brucia dannatamente, e sanguina sempre un pochino. 

Non siamo altro che dei delinquenti, ma i nostri crimini sono rivolti tutti verso di noi, non verso la società, e siamo noi stessi giudici, giuria e carnefici dei nostri reati, e la notte, quando cala la nebbia, ci troviamo ad ascoltare il sussurro di ogni nostro fantasma, e allora alziamo il volume della radio, beviamo una birra, andiamo ad una festa, scopiamo. Qualsiasi cosa, per non sentire il mondo che viene a cercarci. 

Riderò di niente
mi berrò le tue bugie.
Sputerò lacrime e sangue, io
non vivrò come vorrei.
Volo nella mia prigione
c'è chi ha scelto per me.
Il destino, bastardo... mi hai tradito.

Un delinquente che fugge da se stesso
sono braccato dalla verità.
Alzo la radio se suona il telefono
sopravvivo qua..
Non pago mai le multe, le bollette
e vivo con il frigo rotto

Venderò i sentimenti
e strozzerò la nostalgia
ma l'utopia.. quella no
quella chi me la porta via!

Mangio pane ed illusioni
mi diverto così.
Il destino bastardo.. mi ha tradito

Un delinquente che fugge da se stesso
sono braccato dalla verità.
Alzo la radio se suona il telefono
sopravvivo qua..
Il conto sempre in rosso, sono un cesso
e tu che mi hai mollato perché russo.

Ma forse sono felice tu cosa ne sai..!
..dentro il mio passato
è già successo tutto ormai!

Mangio pane ed illusioni,
io mi diverto così.
il destino bastardo mi ha tradito...

Un delinquente che fugge da se stesso,
sono braccato dalla verità.
Alzo la radio se suona il telefono
sopravvivo qua...
Trascuro l'esistenza, l'apparenza
e questo senso di impotenza è...
...è come me...
...proprio come me...
...assomiglia a me...

Un delinquente
Massimo Riva










Vedi, amico mio, ti sto parlando di Massimino, ma è come se ti parlassi anche di Lucien, di Willie, di Marco, di me. 

Sto parlando anche di te, cazzo! 

Svegliati, là fuori dalla mia finestra e grida anche tu la rabbia che ti urla nelle orecchie. 

E' la Nausea di Sartre, lo Spleen di Baudelaire, è la mia Dannazione. Non importa che nome gli dai, o come la descrivi. 

E' malattia.

Febbre.

Ansia di vivere. 

E' sangue, che nervoso pulsa nelle vene, e vorrebbe di più, sempre di più. 















L'atmosfera non si rompe, mai
è pericoloso farlo sai!
Oltretutto mi soffoca il cuore
no amore...
non toccarmi in contropelo mai!

Il mio sangue nervoso
scorre deluso
verso un destino fatto così..
Sarò pure sbagliato
...anche malato...
Tendi la mano... credimi
Il mio sangue è nervoso
è tanto nervoso
non toccarmi contropelo...
...mai

L'entusiasmo se n'è andato ormai
forse è meglio se tu te ne vai.
Che oltretutto mi piange un po' il cuore
...però amore...
non toccarmi contropelo, mai!
..proprio mai!

Il mio sangue è nervoso
e mi esce dal naso
verso un destino fatto così..
sarò pure sbagliato
...anche malato...
Tendi la mano... e credimi
Il mio sangue è nervoso
è tanto nervoso
non toccarmi contropelo...
...mai!

Da bambino io guardavo il mare
ora credo che dovrò soffrire!
Oh no, per favore portatemi via...

Il mio sangue è nervoso
e mi esce dal naso
verso un destino fatto così..
Sarò pure sbagliato
...anche malato...
Ma tendi la mano...e credimi
Il mio sangue è nervoso
è troppo nervoso
non toccarmi contropelo..
..MAI!!
Sangue nervoso
Massimo Riva


Sono quattordici anni, ora, che quel maledetto stantuffo ha spinto nel tuo sangue la dose letale. Quel sole artificiale, che non salva dal congelamento, ti ha bruciato, e ancora ricordo alcune parole che col senno di poi sembrano profetiche. 

O semplice, velata anticipazione di un'intenzione. Prima o poi me lo verrai a confessare. 

Per ora voglio ricordarti con la tua più bella favola, uscita postuma. 

La favola di un pilota nazista che stanco dell'odio, della morte e della guerra, stanco di uccidere, diserta, invece che bombardare Londra l'oltrepassa, diretto all'oceano, per volare alle Hawaii. Una favola di speranza. La tua utopia.





Ciao, Massimino, ciao Poeta. 


30/05/13

Sex & Drugs & R'n R

Ho spento le luci, acceso le candele e mi sono spogliata per te, amico mio, desiderosa di sentire ancora una volta il tuo sguardo che mi fruga, che vuole svelare i miei segreti, e pronta a concederglieli, uno dopo l'altro. 

Ho tagliato, strappato, dilaniato per te, brandello dopo brandello, buona parte delle mie carni, ma ancora siamo così lontani da ciò che sono, che mi pare di non avere neanche iniziato l'opera, eppure ho sanguinato davanti ai tuoi occhi, e ho goduto del tuo sguardo. 

Abbiamo scopato, io e te, in un modo perverso ed impossibile. 

Mi hai posseduta, mentre ti raccontavo dell'Uomo del telefono, così come mi ha posseduta lui, e mi hai persa, nel medesimo istante in cui sono fuggita via. 

La fuga. Si può dire che metà della mia vita l'abbia trascorsa a cercare di fuggire, e l'altra metà nel tentativo di tornare. 

Qua. Nella città che amo ed odio, e che è me. 

Sei fortunato, tu. Figlio inesistente di un mio desiderio, parto della mia schizofrenia, nato già adulto solo poche settimane fa. 

Non conosci la difficoltà di nascere e crescere e non ne conosci la meraviglia. 

E io sono qua per raccontarti quello che tu non sai. Quanto sia stato stupendo e terribile vivere la propria giovinezza negli anni '80 proprio a Bologna. 



Bologna la Dotta, la Rossa, la Grassa, la Turrita, la Magica, schiava di due diversi padroni, Aristocrazia e Clero, che l'hanno piegata a novanta fino a spezzarle la schiena, rubando al suo popolo ogni dignità, senza neanche concedere il fittizio sollievo della vasellina. 



Il "Sacrario di Sabbiuno" 
Poi la Seconda Guerra Mondiale, la democrazia, e finalmente aria di libertà. Il giogo della schiavitù si è spezzato e i bolognesi hanno potuto rialzare il capo, e lo hanno fatto con dignità, senza urla o ostentazioni, piangendo i propri Martiri in silenzio, con la semplicità di un contadino che semina la terra, perché il vero bolognese è figlio della terra, e anche se ormai nessuno l'ha visto realmente, il lavoro dei campi, tutti hanno un nonno che si è spezzato in due dietro all'aratro. 

L'università e il '68, e subito dopo una nuova classe dirigenziale, una città che funzionava come un ingranaggio perfetto, neanche fosse stata progettata da un orologiaio svizzero. 

Una libertà senza limiti. Che permetteva il fiorire di cultura, arte, musica, spettacoli e divertimenti ad ogni angolo di strada. 

Una libertà senza limiti. Che faceva respirare un senso di uguaglianza tale per cui non era difficile trovarti a stonare ubriaca, accompagnata da Dalla al pianoforte. 
O discutere con un tale barbuto, ai martedì filosofici organizzati in una delle tante osterie del centro, per poi scoprire con anni di distanza che il tizio in oggetto era un allora non ancora troppo noto Umberto Eco, entrambi ebbri di San Giovese e sazi di crescenta al forno. 

Ogni notte uscivi di casa e facevi l'amore con la città, ti abbandonavi a lei con fiducia, sapendo che ti avrebbe riservato una sorpresa, un dono. 






Feste spontanee nate alle quattro di notte sotto lo sguardo benevolo del Gigante, con estranei incontrati per caso, altri te che ancora non erano stanchi di fare l'amore con la notte, e via per una corsa in macchina, su, fino al Santuario della Madonna di San Luca a vedere il sole sorgere, e la città, che è davvero Rossa, accendersi di fiamma. 

E colazione, in Piazza Maggiore, con la promessa ovviamente mai mantenuta, di ritrovarsi ogni anno, la stessa notte, in Piazza Nettuno e ripetere l'avventura. 

Giardini segreti, nascosti dietro un portone di legno massiccio, dove intrufolarsi con uno sconosciuto incontrato in un bar, un occhio alle finestre buie che ti spiano e l'altro alla strada e alle ombre che vi si avventurano, e giocare a fare l'amore con il Principe Azzurro, che ti ha appena rapita dal maniero del tuo crudele sposo.

Bologna è anche la "zdaura" (signora) che vede una ragazza particolarmente pallida e, preoccupandosi della sua salute, le offre un bicchiere di latte e dei biscotti, indispettendo alquanto la scorbutica Sophia, che ci aveva perso ore per ottenere un aspetto insano, cereo e cadaverico. 

Vivere a Bologna in quegli anni era come vivere nella Parigi Bohèmienne, dove cultura, droghe e piaceri carnali si univano in una miscela sensuale, ipnotica e irresistibile. 

Sembra tutto così bello, amico mio, che ti starai forse chiedendo come sia possibile che io mi definisca dannata, o possa dire che vivere a Bologna sia stato terribile. 

La cosa terribile è che avevamo tutto. 

La fine del '68 e l'ascesa degli ex rivoluzionari al governo della città avevano fatto sì che non ci fosse più nulla per cui lottare. 

E tutta quella libertà, tutte quelle immense energie creative senza un reale scopo in cui incanalarle hanno distrutto la mia generazione. 

L'unica cosa che il '68 ci ha lasciato in eredità è stato un vuoto gigantesco. E decine, centinaia di diversi tipi di droghe con cui riempirlo. 

Se da una parte c'era un mondo sfavillante, fatto di piacere, lussuria, cultura ed arte, dall'altra c'era in corso una vera e propria guerra, e gli anni '80 contavano tre, quattro, cinque vittime a settimana, ogni settimana. 

Io, che come sempre sono divisa fra luce ed ombra, ho vissuto entrambi i mondi, un piede nel mondo culturale, cene da Napoleone, al tempo meta dell'ambiente più creativo della città e non solo, serate nei circoli filosofici e a feste universitarie dove si gozzovigliava allegramente conversando di Sartre e Prévert ed ascoltando Doors e Pink Floyd, l'altro in strada, a guardare ragazzi distruggersi ogni giorno, in modi così estrosi da meritare menzione. 

Come Lucien, che si gettò dalla finestra, sotto l'effetto di LSD, perché il suo viaggio era di essere diventato un uccello. Gli amici pensavano fosse al sicuro, una volta arrivato a casa. 


Splat! 

La sua allucinazione non era stata abbastanza convincente da fargli crescere le ali, povero angelo di periferia, finito spiaccicato sul marciapiedi, sotto la finestra di camera sua a solo diciannove anni. 



Un sole artificiale che non scalda.
O Willie, l'uomo tatuato. Persino all'interno delle labbra. Leggenda narrava che fosse tatuato persino sulla cappella, ma non ho mai avuto il coraggio di controllare.  Inglese, trent'anni passati da un pezzo, che si era innamorato di Bologna (del mio seno) perché qua c'era libertà (perché era grande), diceva. Quando gli chiedevo cosa ci provasse a iniettarsi eroina mi diceva sempre, guardandomi rigorosamente le tette: "E' come se ti accendessero il sole dentro." Ma quel sole artificiale non scalda, quel sole è una mera illusione. Willie venne trovato morto, congelato, un mattino di gennaio. Era così fatto che si addormentò ai giardini. 



Marco, che annegava il suo amore non corrisposto per Silvana ingurgitando cocktail di alcool e farmaci, medicine che ai tempi vendevano a banco senza ricetta, e che dopo poco vennero vietate. Invecchiò dieci anni in uno, a venticinque sembrava mio padre, morì per cirrosi epatica all'età di ventisei. Non sempre i farmaci salvano la vita.

Silvana, che un giorno sparì, e di lei non si seppe mai più nulla. 

Io ero là, seduta in disparte ad osservare, chiudevo le mie canne mentre raccoglievo le loro confessioni. Li guardavo uccidersi un giorno dopo l'altro.

Incapace di salvarli, incapace di imitarli. 

Troppo coraggiosa per lasciarmi morire e troppo vigliacca per vivere fino in fondo. 

Mi struggevo del loro dolore per partecipare, in qualche modo, della loro personale dannazione, che sommavo alla mia. 

Oggi è il 30 Maggio, amico mio, domani è il giorno in cui ti parlerò di uno di loro, per ricordarli tutti. 

Poi arriverà giugno, e ti prometto che tornerà la Nebbia, a tenerti compagnia, ma fino ad allora, dovrai tenere me, il Ricordo, perché solo fin quando qualcuno terrà vivo il loro ricordo, loro vivranno ancora. 





29/05/13

Il volo



Il volo 


Basse e lente,
note si inseguono
su una tastiera bianca
troppo grande per due sole mani.


Alte e rapide,
s’accavallano sull’aria
salendo 
come il battito delle ali di una farfalla.


Così la melodia
si spinge verso il cielo
lenta e dolce a volte,
rapida ed aspra altre.


E note basse, 
come il battito del cuore,
rincorrono altre acute,
come il sibilo del respiro affannato.


La farfalla s’innalza nel cielo
volando su quel ritmo spezzato,
a cercare la luce del sole
ambita, sognata, desiderata. 


E la melodia muta,
ora folle, ardita, sincopata,
come le mani dei suonatori,
che si rincorrono,
per respingersi, cercarsi e poi sfiorarsi. 


Vola, sale, si alza fino al sole,
si brucia e cade.


Come cade il silenzio
rotto solo dal palpitare di quelle ali
che s’adagiano
al suolo
come gli amanti sulle lenzuola. 



27/05/13

L'epopea di una single negli anta

"Mi sentirei molto più tranquilla se sapessi che non sei sola, prima di morire." 

(Si, mamma, certo, ma ancora non ho trovato una ventina di "fanciulli" disposti ad adorarmi incondizionatamente e a fare parte del mio harem.)

"Sto benissimo così, non ti preoccupare." 

Tranquillizzo la genitrice almeno una volta al mese, neanche che in questo periodo di crisi, disoccupazione, incertezza politica, la mia situazione sentimentale fosse il più grande problema dell'umanità. 

...

Oggi, amico mio, si è svegliata una me che ancora non hai incontrato, e devo presentartela. Lei è la "Me Giocherellona", non saprei come altro chiamarla. Quella che ride sempre; anche se magari sta con le budella di fuori, in ogni caso per lei va sempre tutto bene. 

Più che infantile la definirei incosciente. 

E grandemente rompiscatole. 

Come una zanzara che ti ronza vicino all'orecchio mentre stai dormendo.

Molesta. 

Non ti lascia in pace, ti stuzzica con battute più o meno maliziose, solitamente a doppio, triplo senso, normalmente fini come quelle che potrebbe fare uno scaricatore di porto. 

E' quella che, al complimento per un suo racconto, da parte di un conoscente, rispose che: 

"Si, me la cavo molto bene con la lingua."

"..."

"Italiana, ovviamente." 

"..."

Con conseguente attacco apoplettico del conoscente che si stava complimentando, il quale perde l'uso della parola per tutto il tempo in cui il sangue defluisce dal cervello verso altro attributo, meno idoneo al pensiero. 

E che cerca disperatamente un modo per uscire dalla situazione imbarazzante, fuggendo a rotta di collo verso la toilette.  

Per Nostro sommo gaudio. 

E' fatta così, lei. E' un po' carogna. Si diverte a metterti in imbarazzo. Con una faccia, perdonami il francesismo, come il culo. Un sorriso angelico. E gli occhi, luminosamente puntati nei tuoi. 

Ora che te l'ho presentata le lascio la parola, così che sia lei a raccontarti di quanto sia difficile, per una donna che ha passato i quaranta, essere single nella società d'oggi. 

...

La cosa peggiore dell'essere single, sono tutti quelli che non lo sono. 

O meglio i loro sguardi pregni di una sorta di compassione. 

Perché non sanno la pietà che provo io per loro, altrimenti la compassione verrebbe soppiantata da odio profondo, probabilmente, ma ancora non sono dotati di telepatia, quindi continuano a crogiolarsi nella loro presunta superiorità dell'essere in due. 

Beati e cornuti nella maggioranza dei casi. 

Contenti loro. 

E poi giochiamo a dirci la verità: per quanto io mi disegni cinica non lo sono poi del tutto. 

Io ci ho provato. Ho collezionato ben tre domande di matrimonio ed ho all'attivo una convivenza. Mica è colpa mia se in questi tre casi il fanciullo, (io dico fanciullo perché per me siete tutti fanciulli, voi meravigliose creature chiamate uomini) non si è dimostrato all'altezza delle aspettative. 

Quando, dopo diversi anni di convivenza, ti accorgi di dormire assieme al tuo migliore amico c'è qualcosa che non va. 

Amicizia, rispetto, affetto... è tutto molto bello, ma anche scopare lo è, quindi  saluti e baci e ognuno per la sua strada. 

A questo punto ti ritrovi sul mercato e ti accorgi che, a parte te, tutte le persone che frequentavi sono impegnate. 

E hanno quello sguardo misto di pietà e superiorità, che fa venire voglia di cavargli gli occhi, così, giusto per toglierti il gusto. 

Come se non bastasse inizia la saga degli appuntamenti al buio. 

Solitamente con emeriti coglioni. 

Meno di un mese fa ci ha provato mia madre. Col figlio quarantaquattrenne di un'amica. 

Che per altro, nel corso degli anni, ho incontrato centinaia di volte in quel famoso club dove andavo, con i miei amici gay, a giocare ad essere la loro principessa. 

"Che piacere rivederti, Filippo. Andiamo a prendere un caffè." 

Lo afferro sottobraccio e lo trascino lontano, verso il bar. Come ci scrolliamo le due madri dalla schiena gli sibilo: 

"Non sei un po' grandino, per fingere ancora che sei etero con mamma? Su, tira fuori le palle e dille che se gay, così risparmi ad un'altra sfigata una simile rottura. Ed ora pagami il caffè, che è il minimo che mi devi per non fare la spia." 

Mi rendo conto di non essere stata molto simpatica. Ma manco l'appuntamento con un omosessuale lo è stato! Già che io non volevo nessun appuntamento!

...

Non che scarseggino i pretendenti, anzi. 

Il guaio è che sono tutti giovani. E io sto iniziando a sentirmi una diva di Hollywood con Toyboy annesso. Devo avere qualcosa di sbagliato, perché tutti gli uomini che mostrano interesse nei miei confronti hanno almeno quindici anni in meno di me. 

(Si, lo so che sono sommamente immatura, quindi giusto un ventenne può trovarsi a suo agio con me, ma dirmelo, amico mio, non è carino!)

Forse che si sono estinte le ragazze, quindi 'sti disgraziati devono sfogare gli ormoni con donne per loro attempate? 

O forse le galline vecchie vanno di moda? Un bel cappottino vintage anni sessanta, e donna della medesima decade, per restare in stile. 

Per altro è sempre più difficile trovare uomini. Gli unici rimasti single sono gli scarti di tutte le altre donne, probabilmente. 

Sono consapevole di essere un tipo difficile da gestire, e dai gusti ancor più complicati, ma il panorama cittadino offre una fauna davvero tragica, ultimamente. 

Ecco la classificazione degli uomini attorno ai quaranta, single, che navigano in giro per la mia città: 

  • Schizzato: il tipo schizzato è quello che beve 300 caffè e tira cocaina, cambia 300 locali in una sera, non si ferma mai, parla a macchinetta di niente. Ovviamente cambia anche 300 donne a sera, e più che fare sesso si masturba con l'ausilio del tuo corpo. Piuttosto la morte
  • Uomo in carriera: il lavoro per lui è tutto. Anche quando scopa. Si eccita se gli leggi le quotazioni azionarie del giorno. La sua più grande fantasia erotica è metterti in ginocchio sotto la scrivania mentre lui compra e vende titoli. Per comunicarti che è eccitato dice che il suo Dow-Jones è in rialzo. Non va bene manco per una sveltina, ma se sei così temeraria da provarci devi prendere bene i tempi con i fusi orari per l'apertura della borsa di Tokio. 
  • Timido: riesce ad avvicinarsi ad una donna solo dopo essersi bevuto tutto il bancone, ma quando je la fa risulta un'ottima compagnia, introspettivo, comprensivo, interessante. Se lo metti in moto poi è difficile spegnerlo. Ottimo se si soffre di insonnia. Peccato che dopo essersi scolato l'intero bancone del bar non raggiunga l'erezione neanche con un rito woodoo. 
  • Mammone: la mamma è tutto e tu gliela ricordi tanto. Tu per lui sei perfetta, ma solo fin quando continuerai a somigliare alla Super Donna, e solo se gli permetterai di chiamarti "ma" mentre ti si fa. Se bruci il pranzo è la fine dell'idillio. Non ci siamo, io non ne ho di figli, figurarsi così grandi
  • Mammone 2 la vendetta: la mamma è tutto e tu sei l'opposto. Lei è perfetta e tu sei una stronza. Tutto quello che mamma fa è fatto bene, mentre tu sei una chiavica. Galera dopo 2 giorni.
  • Lobotomizzato: fascino pari a zero, capacità di conversazione pari a zero, carattere inesistente. Non pervenuto
  • Maschilista coglione: non è mai da solo. Con lui c'è sempre il suo uccello. Spesso lo chiama per nome e ci discute pure. Vorrebbe che ci parlassi pure tu. Scopabile, una volta, poi la morte per banalità
  • Disperato: è senza ombra di dubbio l'esemplare più diffuso. Rappresenta, generalmente, l'evoluzione dei tipi su descritti. Si rende conto che sta invecchiando, sente il ticchettio dell'orologio biologico e sa che è l'ultima spiaggia, o la trova ora, una badante moglie, o alla morte di mammà dovrà lavarsele da solo, le mutande. Si riconosce perché, dopo il primo approccio, inizia a parlare di come abbia finito di pagare il mutuo della casa, di come abbia una posizione abbastanza solida, di come sia una persona per bene ed affidabile. Generalmente, man mano che espone i fatti, la voce assume via via tono sempre più acuto tendente all'isterico. DEFCON 1. Si salvi chi può!
Ora, se hai perso qualche momento per leggere i vari apprezzamenti che ho collezionato strada facendo, nella mia ormai non più giovanissima vita, sicuramente ti sarai reso conto, amico mio, che non sono una personcina facile, e sicuramente se tu stilassi un elenco del genere io finirei in almeno il 90% dei punti da te citati, dati i miei molti difetti.

Però capisci anche che, date le contingenze sovraesposte, la scelta di rimanere single in una simile giungla, e perché no, parteggiare per il movimento per l'estinzione volontaria del genere umano, non è poi così folle come potrebbe sembrare, non credi? 





The Voluntary Human Extinction Movement




N.d.A. La "Me Giocherellona" è in cerca di nome. Se avete consigli da darmi sono ben accetti. Sempre stata negata con i nomi, io. Mi vengono fuori tutti uguali! 



N.d.A. 2 La "Me Giocherellona" ha trovato nome. Si chiamerà Orea. Ringrazio Badit che l'ha battezzata e che quindi da oggi diventa il suo padrino adottivo, e che quindi a pieno diritto si sentirà chiamare: papà! (Ed ora tutti a vedere i suoi meravigliosi lavori qua!)

Ringrazio anche BlackSwan e Moz- I nomi da loro suggeriti non andranno perduti. Come già detto qua dentro siamo una Legione, e ho tante me in cerca di nome, Norma e Sun In The Morning troveranno ben presto modo di farsi conoscere a loro volta. 





25/05/13

16 - Del prezzo delle scelte

"La sua vita era iniziata diversi anni prima, a sedici anni, un pomeriggio di fine estate, al tramonto, quando il sole basso tinge di rosso le colline ed i boschi. In quel preciso istante l’incoscienza della fanciullezza le veniva strappata via da un mostro troppo orribile per essere guardato negli occhi. 

Non c’era nessuno, attorno, solo il cicaleccio degli uccelli, quando si scambiano gli ultimi canti prima di dormire, e la bestia. 

Calda, ansimante, con la bava alla bocca, si premeva su di lei facendole male, facendole desiderare di non esserci più. 

Chiuse gli occhi e lasciò che la bestia compisse il suo rito, placando la sua fame, senza più sentire gli uccelli cantare, il respiro caldo e affannoso del mostro, il dolore. 

Chiuse gli occhi, e non sentì più nulla, neanche sé stessa."

...

"Era un tardo pomeriggio di fine estate, quando la belva si svegliò. 

Era sempre stata là, addormentata nel fondo della sua anima malata, ma lei non si era mai accorta della sua presenza se non certe volte, la notte, quando rumorosamente s'agitava nel sonno perenne, dettandole incubi così vividi da farle mordere la lingua, per la tensione. 

Dicevano che fosse una bambina tranquilla, ed in effetti era quello che lasciava intendere a chiunque, nascondendo una rabbia incontrollata che lasciava uscire solo raramente, celandola con astuzia dietro il candore di un errore ingenuo di bambina, come quando aveva coscientemente punito il padre per una presunta ingiustizia, facendo sì che si ferisse il piede con delle puntine da ingegnere e poi scusandosi per la disattenzione, mentre in realtà era stato un gesto premeditato, studiato e covato rancorosamente per lunghe ore. 

Ma quel giorno, a sedici anni, la belva venne svegliata. 

Due animali stuzzicarono il corpo in cui dormiva placidamente, ed il dolore, la rabbia, la vergogna e l'umiliazione furono cibo prediletto per una creatura così abbietta, e se ne nutrì, e di queste sensazioni immonde si fece forte. 

Rimase ad incubare per nove mesi, gravidanza impura della violenza, e al rifiorire delle rose venne alla vita con un rigurgito di rabbia. 

Spogliata delle carni dell'infanzia, consapevole del peccato, alla ricerca di una ristoratrice vendetta, dall'esilio di quei nove mesi nacque Sophia. 

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"Non accettare passaggi in macchina da ragazzi, e non uscire con ragazzi più grandi di te."

Ecco, se un po' mi si conosce, dirmi una cosa del genere equivale a caricarmici sopra, a quella macchina. Adolescente, inquieta, tetra come una campana a morto, ribelle, perennemente contro tutto, sedicenne. Mettici pure un cartellone al neon lampeggiante, che punta alla macchina in oggetto, per essere certo che non mi sfugga!

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Ci siamo, amico mio, avrai già capito dal doppio incipit che questa notte sarà una notte speciale. 

Ho affilato il bisturi, e sono pronta a tagliare. Proprio come in un'autopsia, il punto che mi interessa questa sera è situato nella cassa toracica, sopra al plesso solare, dove c'è il diaframma. Dove si incastra il respiro, quando un'emozione molto forte ti fa perdere un battito del cuore (ti fa perdere il cuore).

E' là che la belva vive. La belva che sono io. Ed è là che andremo a guardare, direttamente. Nell'attimo in cui si è svegliata, e ha preso il controllo di me. 

Salvandomi, probabilmente, dalla follia. (ma tu sei folle!)

Si parlava di scelte. Io ho scelto di violare una richiesta di mio padre. Io ne ho pagato le conseguenze. Forse il prezzo è stato un po' troppo salato, ma in certe occasioni non è facile mercanteggiare. 

Non servono molti dettagli. 
Loro erano due. 
Figli di papà. 
Io ero una. 
Scema. 
Ammaliata da un tipo di attenzioni a cui non ero assolutamente abituata. 

Alla proposta del giro in macchina e alla passeggiata nel parco sui colli non ci ho visto nulla di male, manco fosse stata la prima volta. 

Colpa mia, non dovevo andare. 
Colpa loro, non dovevano pretendere. 
Colpa nuovamente mia, non avrei dovuto arrendermi. 

Di fatto, ho staccato la spina. 
Quando ho sentito male mi sono arresa e me ne sono andata.
Che facessero quel che volevano, tanto io non c'ero più. 

Io ero andata laggiù, amico mio, sul fondo dell'abisso, dove la Bestia era sveglia. E stava pian piano prendendo il mio posto. Per quasi due anni, dopo quel giorno, non ero più io, ma un'entità rabbiosa, che viveva con il solo scopo di fare del male a qualsiasi essere umano gliene offrisse il benché minimo motivo. Quella che già una volta abbiamo chiamato Sophia. 

Il primo ricordo lucido è la doccia, io accucciata con l'acqua rovente che mi brucia la pelle, il vapore, la nebbia, e nessuna lacrima, nient'altro che rabbia, umiliazione, ed odio. 

Ma non per loro. Per me. Che non ho avuto il coraggio di staccarglielo a morsi, almeno ad uno dei due. Poi probabilmente mi ammazzavano di botte, ma sai che soddisfazione? 

Nove mesi a metabolizzare quello che era successo. E ad imparare a conoscere quella nuova me, Sophia, che non aveva più nulla in comune con la ragazzetta che c'era stata fino all'estate prima. 

E quando Sophia uscì di casa, per la prima volta, era completamente vestita di nero, portava un trucco perfetto, che la faceva sembrare una tragica bambola di porcellana e circa tre chilogrammi di catene avvolte attorno al corpo. 

Ed era molto determinata a non permettere che si ripetesse mai più qualcosa di simile. 

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Per anni non ho mai raccontato a nessuno quel che era successo, neanche alla mia migliore amica, che non capiva i miei rifiuti ad uscire, né ha mai capito il mio cambiamento, quando finalmente ripresi a farmi vedere.

Un'altra esperienza da aggiungere al bagaglio della mia vita. 

Ho imparato molto, quel giorno. 

Ho imparato che so applicare istintivamente le tecniche di sopravvivenza che vengono utilizzate per resistere alle torture, ad esempio, non che mi serva a molto, però è una cosa interessante. 

Ho anche imparato che dentro di me esiste un'oscurità latente e che è bastato nulla per risvegliarla, ma ora mi è impossibile rimetterla a dormire. 

Ed ho imparato che quando si fa un patto con il diavolo, amico mio, si deve fare molta attenzione ai termini, altrimenti ti frega. 

Tu invece, cos'hai imparato?